Genitori e figli: piccolo manuale senza istruzioni per una relazione sufficientemente buona

La nascita di un/a figlio/a è uno degli eventi della vita che più coinvolge e travolge ogni aspetto della nostra esistenza. Ci costringe a spostare inevitabilmente il nostro centro, quell’equilibrio più o meno precario che magari faticosamente abbiamo raggiunto, verso una nuova vita, che all’inizio dipende in tutto e per tutto da noi. Abbiamo un nuovo centro ma non dobbiamo perdere di vista il nostro, provando a destreggiarci tra ruoli diversi, compito non sempre facile e che ci espone a volte a sensi di colpa e di inadeguatezza.
Già durante l’attesa crescono in noi desideri e aspettative sul nascituro, lo immaginiamo, a volte lo idealizziamo e altre siamo presi da timori, paventando possibili problemi e difficoltà.
Tempo fa leggendo un libro di una famosa psicoanalista, mi colpì quello che riportò parlando di ciò che disse una sua amica durante l’attesa della figlia: “Non vedo l’ora di conoscerti, scoprire chi sei, come sei”. Forse a qualcuno sembrerà una frase banale, eppure quanti di noi riescono a sospendere le aspettative in funzione di una sana curiosità?
È proprio dalla curiosità che vorrei partire, insieme alla possibilità di considerare il bambino e la bambina non più la tabula rasa di cui parlava Freud ma un essere umano competente, con un suo già strutturato temperamento. Questo significa che già nella pancia tende a mostrare alcune peculiarità e che sarà il suo temperamento insieme alla disposizione dei genitori a delineare sin dall’inizio alcuni aspetti importanti della relazione e della sua personalità futura (a cui ovviamente contribuiranno tante altre relazioni ed esperienze).
Spesso genitori in difficoltà con i propri figli dicono frasi come: “non riconosco mio figlio, è così diverso da me chissà a chi somiglia”; “avrei voluto una figlia diversa, mi sento deluso anche se questo mi fa sentire in colpa”; “mia figlia è perfetta, è come me, ma non capisco perché faccia scelte così stupide”, e così via. Forte è la tendenza ad immaginare i figli come un’estensione di noi stessi o al contrario come la possibilità di un riscatto, augurandoci un futuro per loro fatto di successi e scelte sagge e lungimiranti che non siamo riusciti a mettere in atto.
E invece i nostri figli ci somigliano sorprendendoci con la loro unicità, se siamo pronti a riconoscerla e rispettarla.
La curiosità di avere davanti un essere umano nuovo e unico, seppur da noi generato è uno degli aspetti più importanti del divenire genitori.
Sì ma poi il genitore come si fa?
Manuali ce ne sono, anche di pertinenti e ricchi di spunti, ma io credo che ogni genitore possa trovare il suo modo unico di essere tale se riesce a sintonizzarsi con se stesso e poi con il/la proprio/a bambino/a. Questo è particolarmente importante all’inizio, quando si gettano le fondamenta per quella base sicura che durerà tutta la vita, anche se oscillerà fortemente durante l’adolescenza e sembrerà abbandonata a se stessa durante l’età adulta.
Ma cosa significa sintonizzarsi?
Significa mettersi in ascolto, spostando l’attenzione dal proprio centro a quello dell’altro, mettendosi nei suoi panni, sentendo e riconoscendo le sue emozioni, in altre parole quella che chiamiamo empatia.
Non è sempre facile mostrarsi empatici con i propri figli, soprattutto non è sempre così scontato comprenderli, ma se abbandoniamo l’idea di perfezione, nei nostri e loro riguardi, questo potrebbe essere un buon punto di partenza.
Sbagliare non è solo umano, è autentico e l’autenticità è l’altra fondamentale risorsa nel rapporto con i figli. Forse ci renderà ai loro occhi meno invincibili ma sicuramente più veri. Naturalmente questo non significa caricarli della responsabilità di consolarci dei nostri problemi ma piuttosto significa non nascondere loro emozioni e sentimenti, soprattutto se negativi, che inevitabilmente notano in noi, così che possano riconoscerli e tollerarli in loro stessi. Non è in fondo questa educazione alle emozioni?
I bambini apprendono da noi più di quello che pensiamo e non lo fanno solo ascoltando le nostre parole, ma soprattutto imitandoci, svelando le nostre difficoltà e le umane contraddizioni.
Per esempio se urliamo loro di non urlare sarà difficile che ci ascoltino e prendano in considerazione; se ci lamentiamo che sono disordinati o mangiano male ma fatichiamo a tenere in ordine casa e seguire un’alimentazione equilibrata, va da sé che ci seguiranno; se siamo preoccupati della loro difficoltà a socializzare e allo stesso tempo svalutiamo ogni loro nuova conoscenza o parliamo male dei nostri amici, faticheranno a prendere coraggio e avere fiducia negli altri.
È allo stesso tempo sorprendente come riescano a volte a stupirci mostrando attitudini e capacità proprie che noi non abbiamo, dimostrando la loro unicità. Compito di ogni genitore dovrebbe essere quello di valorizzarle e incoraggiarle.
Ma se sembra tutto così semplice e chiaro perché allora è così difficile?
Forse i perché di ognuno sono troppi da elencare, sicuramente essere genitore ci mette di fronte ai nostri limiti, alle paure di sempre e ai nostri conflitti irrisolti con i nostri genitori, a modalità relazionali apprese che mettiamo automaticamente in atto e di cui non siamo sempre consapevoli, ai nostri desideri e aspettative non raggiunti, alla paura di sbagliare ed essere rifiutati.
Divenire consapevoli delle proprie dinamiche interne e relazionali, contattare e riconoscere emozioni e sentimenti che non ci piacciono senza averne timore, può aiutarci in ogni rapporto, non solo con i figli, mostrandoci capacità e risorse che sono solo nascoste. La curiosità e la disponibilità verso figli e figlie ci mostrerà come fare, perché in qualsiasi relazione non siamo soli ma in due e vedere l’altro da sé, riconoscerlo nella sua unicità ci svelerà la strada, da percorrere insieme. Sbagliando a volte, come è giusto che sia, ma con meno paura.

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